Dall'Unione Sovietica alla Federazione Russa: una storia avvincente
Il 25 dicembre 1991 Michail Gorbaciov annuncia le sue dimissioni dalla carica di presidente dell'Unione Sovietica. Il vessillo rosso decorato con falce e martello viene ammainato per l'ultima volta dal pennone più alto del Cremlino, sostituito dal tricolore bianco, blu e rosso, che si ricollega alla storica bandiera degli zar, simbolo della Russia contemporanea.
In modo quasi discreto, una delle figure simbolo del Ventesimo secolo chiude il sipario su settant'anni di storia, senza l'eco di cerimonie solenni o folle ad assistere.
L'addio è stato dato tramite un breve discorso televisivo, nel quale ha affermato: "Il vecchio sistema è crollato prima che il nuovo cominciasse a funzionare e la crisi sociale si è fatta ancora più acuta. Ma cambiamenti radicali in un Paese così vasto non possono passare in modo indolore, senza difficoltà e sconvolgimenti"
Il 26 dicembre 1991 il suo successore, Boris Eltsin, dissolve formalmente l'U.R.S.S., un regime che, prima degli ultimi concitati anni della storia russa, sembrava essere solido, immutabile ed eterno. Per la prima volta nella storia dell'uomo un impero di queste dimensioni cessa di esistere e non lo fa perché sconfitto sul campo di battaglia.
Nella foto: Gorbaciov segue il discorso di Eltsin in TV
Negli anni '80, l'URSS stava attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia, con il prezzo del petrolio era diminuito drasticamente, le spese militari per la corsa agli armamenti con gli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan. Questa era la situazione quando Gorbachov fu eletto nell'85.
L'economia del paese aveva bisogno di una riforma radicale per ritrovare dinamismo: il sistema sovietico, sotto il peso dei concorrenti internazionali e dell'inefficienza della macchina burocratica, doveva cambiare. E Gorbaciov lo sapeva.
"Ciò di cui ha bisogno oggi l' Urss", dice Gorbaciov in un discorso al XXVII congresso del PCUS, nel febbraio 1986, è il "rinnovamento radicale della mentalità di tutti, dal semplice operaio al ministro, e il miglioramento dello stile di lavoro in generale."
E questo rinnovamento radicale, per Gorbachov, passa attraverso 3 fasi: perestrojka ("ristrutturazione"), glasnost ("trasparenza") e uskorenie ("accelerazione").
Cosa prevedeva il rinnovamento auspicato da Gorbachov? In primis, la privatizzazione di molti settori economici statali, poi la libertà d'informazione e la riduzione del controllo militare e politico sui Paesi satelliti. Ma non solo.
Gorbachov era convinto della necessità di firmare il disarmo con gli Stati Uniti, in quanto la competizione tra le due potenze non era più economicamente sostenibile per l'U.R.S.S. e verso la fine degli anni 80 sigla con gli USA accordi per la riduzione degli arsenali militari.
Nella foto: Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan nel 1986
All'estero Gorbaciov viene applaudito all'estero, ma in patria incontra reticenze e ostacoli in patria: il paese inizia ad mobilitarsi, tra crisi e tensioni sociali. I cambiamenti economici, politici, ed istituzionali e la politica di distensione con l'Occidente non portano i risultati che il leader sovietico auspicava.
Mancano i beni di consumo e quelli che ci sono hanno prezzi esorbitanti. La corruzione è dilagante e, di fronte al disagio sociale, lo scontro politico si fa ancora più aspro.
Il malessere non tardò a manifestarsi, soprattutto per il riemergere dei nazionalismi etnici nelle repubbliche sovietiche. La situazione precipita tra il 1990 e il 1991.
In questo periodo le tre repubbliche baltiche e la Georgia dichiarano la propria sovranità e ad esse segue la Russia, all'interno della quale iniziava a muoversi una fazione, guidata da Boris Eltsin, parallela a quello ufficiale.
La prima delle repubbliche sovietiche a dichiararsi indipendente fu la Lituania, nel marzo 1990. Il Paese si sentiva da sempre culturalmente e politicamente estraneo all'Unione Sovietica e nulla valsero le sanzioni imposte dal governo centrale.
All'inizio del 1991, comincia la discesa di Gorbaciov verso l'autoritarismo: ordina all'esercito sovietico di sparare sui manifestanti lituani, in quello che è conosciuto come il massacro di Vilnius. Sono numerosi i morti e feriti.
Nella foto: Foto segnaletiche dei prigionieri dell'ex prigione del KGB, ora museo del g e n o c i d i o a Vilnius
In solidarietà con le vittime lituane, a Mosca la gente scende in strada e protesta contro la repressione. Ben presto anche la Lettonia e l'Estonia si dichiareranno indipendenti. Era ormai chiaro che i movimenti della storia stavano sfociando nella disgregazione dell'Unione Sovietica così come si conosceva fino a quel momento.
In quello che sembrò un ultimo tentativo disperato di conservare lo status quo, Gorbaciov indisse un referendum sulla conservazione dell'U.R.S.S., in cui il "sì" vinse con circa il 78% dei voti. Sembrava essere stato un successo, ma fu davvero così?
In realtà Armenia, Georgia, Moldavia e le tre repubbliche baltiche decisero di boicottarlo e di non partecipare al voto. Il segnale che stavano mandando era inequivocabile: il loro desiderio era l'indipendenza. Iniziano così i negoziati tra Mosca e le varie repubbliche.
Nella foto: Boris Eltsin, al centro, in Armenia nel 1991
Anche all'interno della Russia, infatti, il nazionalismo radicale aveva cominciato a far sentire la sua voce. A farle da megafono, c'era la figura di un nuovo leader: Boris Eltsin. Il braccio di ferro tra Gorbaciov, fautore dello status quo, ed Eltsin, fervente sostenitore del nazionalismo radicale, sarà una costante di quel periodo.
Gorbaciov accede a negoziare un trattato che prevedeva un governo meno centralizzato e un paese formato da Stati sovietici indipendenti. Era sul punto di firmarlo quando il 18 agosto 1991 venne trattenuto con la forza insieme alla sua famiglia nella sua abitazione in Crimea. Ma perché?
L'ala conservatrice del governo russo voleva impedire che Gorbaciov firmasse il trattato che avrebbe sancito la fine dell'Unione sovietica e, con il supporto di alcuni alti ufficiali, tentarono un golpe. La loro intenzione era quella di destituire Gorbaciov.
Vari esponenti del governo sovietico dichiararono, insieme al capo del KGB Vladimir Krjuckov, che, per motivi di salute, Gorbaciov non poteva continuare a mantenere la carica di presidente dell’Unione Sovietica. La carica sarebbe, quindi, passata al suo vicepresidente.
Mosca è occupata dall'esercito e dalle truppe speciali che occupane militarmente la città, ma i carri armati vengono letteralmente fermati da migliaia di persone scese in strada per bloccarli.
Se il desiderio dei golpisti era quello di sventare la disgregazione dell'URSS, il risultato fu proprio il contrario e, in quel frangente, Eltsin riesce a acquisire sempre più potere, soprattutto dopo essere stato eletto il 12 giugno 1991 presidente della Repubblica russa.
Fu lui, salendo su uno dei carri armati presenti a Mosca, ad incitare i cittadini a battersi per la libertà. L'esercito si rifiutò di aprire il fuoco sui manifestanti. Fu così il colpo di stato, passato agli annali come il "putsch di agosto", fallì miseramente. Il 24 agosto i carri armati si ritirarono dalle strade di Mosca.
Eltsin ha ormai in mano le redini del Paese. Si susseguono rapidamente le dichiarazioni d'indipendenza delle altre repubbliche: Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Armenia, Turkmenistan, Kazakistan.
Il 8 dicembre 1991, il presidente della Russia Boris Eltsin, insieme ai presidenti di Ucraina e Bielorussia, ha firmato l'Accordo di Belaveža. Questo accordo ha marcato la disgregazione definitiva dell'Unione Sovietica e ha dato vita alla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), una struttura aperta all'adesione di tutte le ex repubbliche sovietiche.